Mantenere era il mio verbo preferito. Comportava la promessa di tenere per mano, man-tenere”  così scriveva Erri De Luca riferendosi al gesto che, probabilmente, esprime in modo più chiaro i sentimenti forti.

I protagonisti di questo delicato romanzo d’esordio della casa editrice Biplane Di terra, di mare, di cielo, si tengono e tendono spesso la mano e la storia raccontata da Barbara Cobianchi è zeppa di sentimenti dirompenti: c’è una famiglia “atipica” composta da Leo e Bart, una solida coppia omosessuale con una figlia dal nome guerriero: Sarg.

Tutti e tre hanno dovuto costruire la propria capacità di resistere a un mondo che, fuori dal rifugio sicuro che è la loro famiglia, sa essere spesso brutalmente intollerante:  “… la diversità non la capisci davvero, è un vestito che gli altri ti cuciono addosso, ti tocca indossarlo a forza.

La forza di questa famiglia è la capacità di accogliere e accompagnare verso il volo necessario fuori dalle pareti domestiche: Sarg decide di andare via, a cercare il proprio posto nel mondo, a cucirsi un abito su misura ma, quando l’inquietudine si fa tanto grande da impedirle di mettere a fuoco il mondo intorno, torna a casa.

Qui troverà Saro, che pure decide di andare via, a scoprire cosa c’è oltre la linea dell’orizzonte che osserva dalla sua piccola isola nel Mar Mediterraneo e approda nel nido foderato di carta di Leo e Bart. Da loro troverà accoglienza, riposo e accettazione. Sarà subito parte di quel microcosmo.

Insieme, Sarg e Saro,  potranno compiere un viaggio a ritroso dentro la loro storia, condividendone i momenti più importanti e diventando, in pochissimo tempo, un riferimento l’una per l’altro.

C’è, poi, Moah che ha abbandonato la sua terra per piantare radici in Italia portando con sé il desiderio di essere accolto e di accogliere gli altri attraverso la sua cucina, speziata e allegra.

A rappresentare la spietata intolleranza verso qualunque modo di essere e di vivere che si discosta da binari rigidamente precostituiti, ai quali si aderisce in modo acritico, è Gian con il suo gesto folle e violento.

Dicono che sia coraggio, quella spinta a cambiare, a saltare nel vuoto, se serve. Lo chiamano coraggio perché è roba da pochi. I tanti, gli altri, non deviano mai dalla strada maestra. Per Leo e Bart, per Sarg e Saro, e per tutti quelli come loro, non è una questione di coraggio, ma di paura: è la paura di svegliarsi vecchi senza aver fatto un passo avanti in tutta la vita, non un passo giusto per non compierne uno sbagliato. Ed è una paura così grande, che per non sentirtela addosso saresti capace di volare.

Durante la lettura ho spesso pensato che mi sarebbe piaciuto andare più a fondo nelle storie di Saro e della sua isola, di Moah e del suo viaggio dalla Libia, di Gian e del percorso che lo ha reso intollerante; Barbara Cobianchi ce ne regala solo poche pennellate, forse lasciando personaggi raccontati troppo poco per un lettore desideroso di sapere altro.

Sono tanti, dunque, e importanti per le riflessioni cui invitano, i temi affrontati in questa storia: le famiglie omosessuali, l’intolleranza religiosa, l’adolescenza e la costruzione di una identità, l’amore genitoriale e filiale.

È veloce il ritmo della penna di Barbara Cobianchi e poetica la sua voce.  Una lettura appagante.

Rossella De Feudis