Scrivere mi fa bene, benché a volte mi costi molto, ogni parola mi brucia come un’ustione. Queste pagine sono un viaggio di non ritorno in un lungo tunnel di cui non vedo l’uscita, ma so che deve esserci; è impossibile tornare indietro, bisogna continuare passo dopo passo verso la fine.
È come se Isabel Allende avesse scritto queste righe per ciascuno di noi lettori che, inconsapevoli, abbiamo varcato la soglia di questo romanzo e, con difficoltà emotiva, non siamo riusciti a staccarcene. Ogni pagina infligge un’inguaribile ferita al cuore. Il leitmotiv dell’intero romanzo è la malattia di Paula, la ventottenne figlia di Isabel, colpita da porfiria, una malattia rara che l’ha condotta, improvvisamente, in un coma irreversibile. È da questa situazione di immobilità, a livello fisico per Paula e a livello emotivo per la scrittrice, che quest’ultima decide di cominciare a scrivere.
Sprovvisto di una struttura predeterminata, il romanzo sin da subito assume i caratteri di un diario, le cui pagine cominciano a prendere forma dal 6 dicembre 1991, giorno che segna l’inizio dell’iter ospedaliero di Paula e del travaglio interiore dell’autrice.
La scrittura non prende forza dal personaggio che, sfuggendo al controllo della penna, acquisisce vita propria, bensì dai sentimenti prorompenti e spesso violenti della scrittrice.
Le parole, i fatti e i personaggi che si muovono seguono il flusso incontrollato e irrazionale della sua coscienza.
Isabel scrive per cercare di tramutare in parola il dolore che sente e che rischia di sopraffarla; scrive per cercare di ristabilire un legame con sua figlia, invano; scrive con la speranza che, un giorno, al suo risveglio, Paula possa recuperare quei frammenti memoriali che inevitabilmente il coma ostacola.
Mi rigiro in queste pagine in un tentativo irrazionale di vincere il mio terrore, mi viene da pensare che se do forma a questa devastazione potrò aiutarti a aiutarmi, il meticoloso esercizio della scrittura può essere la nostra salvezza.
Scrivo cercando un segnale, sperando che Paula rompa il suo implacabile silenzio e mi risponda senza voce in questi fogli gialli, o forse lo faccio solo per superare la paura e fissare le immagini fugaci della cattiva memoria.
Privo di fiction letteraria e di retorica, il romanzo costringe i lettori a lasciarsi travolgere da così tanta verità e da così tanto dolore.
Ci si aggrappa, insieme alla scrittrice, alla speranza che la potenza della parola letteraria possa arrivare laddove anche la medicina arranca.
Tuttavia, come già si prefigurava all’inizio della narrazione, la speranza comincia a sfaldarsi e la presa di consapevolezza dell’inevitabilità della fine accresce sempre più.
E così un diario in cui far attecchire i propri affanni così da sentirne meno il peso, diventa il luogo ideale in cui inaugurare un percorso di crescita interiore e di valutazione di sé. Isabel non dovrà combattere soltanto contro quella malattia che divora le funzioni vitali di Paula, ma dovrà farlo anche e soprattutto contro il terrore di ammettere che perderla per sempre sia la scelta più giusta da fare.
Una lotta tra la vita e la morte, tra la carne e lo spirito, tra lo stringere a sé e il lasciare andare, tra il dolore e la disperazione, tra la paura e il coraggio.
Ero accanto ad Isabel quando arrancava difronte a tale lacerazione interiore, ero con lei quando si tratteneva ore al capezzale di Paula cercando di richiamarla alla vita. Le sono stata accanto lungo tutto il viaggio, trattenendo il respiro affinché non una minima distrazione potesse interrompere il flusso di quella storia. Sono con lei ora, perché il suo dolore è diventato il mio e fa fatica ad abbandonarmi.
Grazie Isabel.
Grazie Paula.
Anna Rita Ambrosone
26 Marzo 2025 at 14:49
Un libro che mi è rimasto impresso per il tema e per come è scritto. Molto bello. Grazie per averne parlato ancora.