In un libro che è volontariamente intenso, problematicamente magmatico e estremamente personale Carmelo Sardo, candidato al Premio Strega 2025, si fa cronista di un fiume in piena di riflessioni, rifrazioni e vertigini sul nostro modo di stare al mondo tra le realtà incontestate di un solo oggi e le possibilità di molti domani quando gli occhi sono chiusi. Con la certezza che entrambe le aree semantiche del nostro ‘io’ sono spesso comunicanti tra di loro, si parlano, si smentiscono, si sostituiscono, minando le certezze della memoria e, nel caso di chi legge questi tracciati, di smarrire una strada per trovarne di nuove.
Schopenhauer sosteneva che la vita e i sogni sono fogli di un unico libro che chiede non solo di essere letto ma anche di essere compreso nei suoi testi e sottotesti. E in quelle pagine ci siamo noi anche se in forme coscienti diverse e spesso discordanti. Come Carlo, il protagonista di 🔗Le notti senza memoria pubblicato da pochi mesi da Bibliotheka Edizioni. Un trentenne che, accanto ad una vita in differita tra le vie di una città siciliana di cui lo emozionano più i paesaggi che i propri abitanti, vive, grazie ad un’intensa attività onirica, una seconda vita, una vita altrimenti, che lo rende padrone del proprio destino, reporter e testimone di fatti reali, quasi dei piccoli romanzi, catturati su una tessitura oltre la veglia.
Carlo non sogna come Astolfo di domare l’ippogrifo e andare a riprendersi il senno perduto sulla luna. Non ha bisogno di uscire da sé stesso per cercare l’impossibile. Perché la sua luna è a portata di mano, è Nora, una donna dall’avvenenza sorniona, da cui è attratto come un magnete, un’arsura che gli permette di convogliare le sue forze da Don Giovanni impenitente in un uomo che si assume le responsabilità di guardare il mondo negli occhi e creare un proprio posto al sole con una donna che possa completarlo e confortarlo. Il suo è dunque un innamoramento che va ben oltre l’essere amanti, è qualcosa di totalizzante.
Ma quando è ora di aprire gli occhi e di attraversare come un funambulo quel filo vicario tra sogno e realtà Nora c’è ed esiste da ambo le parti della barricata. Ma nel mondo di qua lei è la fidanzata del suo migliore amico, è impegnata a costruirsi un futuro e può essere per Carlo solo una buona amica, nulla di più. Non resta dunque che torturarsi di fronte a questo accesso vietato, a questa realtà inappellabile in cui ammainare i propri sentimenti. Ci si sente, sarà capitato a molti, come il Sognatore de Le notti bianche di Dostoevskij con Nasten’ka quando il brusco risveglio fa rimpiombare il protagonista nella realtà.
Che fare? Mentre tutte le cose vissute in sogno trovano puntuale corrispondenza nella realtà anche se a ruoli invertiti, come un cruciverba al contrario? Mentre ci sono tesori nell’ombra vissuti con la mente e con la carne che si schiantano su un amore unilaterale di cui Nora non sembra accorgersi o forse sì ma si volta dall’altra parte? Inoltre quello che la ragazza ignora è il ruolo determinante e anelante che lei ricopre nella mente, nella vita parallela di Carlo, e la funzione vitale che per lui esperisce, senza appello: «Da quando il destino mi aveva mandato a incrociare passo e sguardo di Nora, sulla mia esistenza si era abbattuta una maledizione che mi teneva abbarbicato a lei». Come uscire dall’incubo?
Carlo ha due possibilità, prima che qualcuno lo creda pazzo. Parlare con qualcuno a briglia sciolta per condividere, non liberarsi, di quel peso, di quella crasi tra due mondi opposti, tra quello che ha vissuto nel sognare e quello nel vivere, senza essere giudicato. E qui viene in aiuto la madre, quel rapporto a corsia preferenziale che molti figli hanno, che ascolta in silenzio con gli occhi che fissano il pavimento le sue confidenze e le contorsioni e suggerisce non soluzioni ma vie da percorrere senza avere cattedre alle spalle ma solo la saggezza che hanno le madri, paradigma di lucidità per un figlio in pena e non sereno.
L’altra strada è cancellare Nora e tutto ciò che rappresenta nella vita di fuori per godersela nei suoi sogni, allontanarla da sé, diradare le frequentazioni e magari ripiegare su un’altra ragazza, tornando in fondo a essere quello di prima. Ma Carlo non vede l’ora di tornare nel suo primo mondo. Per Jung il sogno è come un teatro dove il sognatore è tutto, la scena, l’attore, il suggeritore, il direttore di scena, l’autore, il pubblico e il critico. È creatore di una ‘Genesi’ continua senza giorni di riposo. In fondo Carlo si aggira nella vita degli altri, prende la realtà e la trasforma, crea e disfa storie nella sua testa e, impegnato nei suoi viaggi, spesso si dimentica del confronto con il reale. Durante la lettura l’istinto ci porta a dare retta al protagonista, anche nei suoi coni di ombra (o forse sono di luce?), a seguirlo nelle sue continue peregrinazioni tra un bicchiere di rhum e una chiacchierata con l’aria e, benché lui stesso ci metta in guardia a non oltrepassare la linea gialla, gli diamo retta. Non tanto per capire come va a finire quanto per catturare le utopie o distopie di questo uomo.
Nel testo si nota un’intrigante alternanza di registri verbali. Sardo infatti usa parole crude, dirette, anche ricorrendo a regionalismi, nel momento in cui descrive Carlo in compagnia degli altri e del solito sé stesso. Ma al contempo compaiono espressioni che sfiorano il lirico quando indugia sul conturbante paesaggio circostante, minacciato dal cemento, e sull’animo sensibile di chi, in qualche modo, avvia un dialogo con la natura, i tramonti, i sapori e i colori di una Sicilia che avvolge i propri abitanti senza farli addormentare. Scelte, rispettosamente studiate, sono poi le parole che riflettono su chi è molto protettivo dei propri sogni perché di loro sa prendersi cura, li racconta con emozione come se facesse entrare gli altri nella sua stanza dei tesori, in un mondo prezioso e molto privato, come se aprisse le pagine del suo personalissimo Necromicon per fare dare una sbirciata.
Ma quando in una struttura sospesa e persa nel suo adorato limbo in cui realtà e fantasia, tutto e niente, si fondono e si confondono ricorrendo spesso domande banali nella loro disarmante complessità ecco che Carlo, che pensa di sognare, si ritrova, in una realtà che non immaginava e noi con lui. In un mondo terzo che nega tutti i precedenti e nel quale compare Nora e la sua casa di bambole. In un mezzogiorno cieco o mezzanotte accecante.
Claudio Musso
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