“Quello della tessitura è un linguaggio ‘grammaticalmente corretto’ in cui ogni combinazione necessita di regole precise. Se le lettere messe in fila danno origine alla parola, poi alle frasi e infine al pensiero, ogni tipologia di filo e colore, chiusa nel proprio abbraccio, crea il linguaggio materico della tessitura. Ogni tessuto racconta una storia fatta di legami umani, tradizioni, riflessioni, conoscenze, tecniche e viaggi. Una storia che rende quel tessuto unico, un’anima sopra la nostra pelle” scrive Michela Finaurini ne La grammatica dei tessuti (Gribaudo, 2022).

La storia della tessitura va di pari passo con quella dell’umanità. I ritrovamenti archeologici ci parlano di intrecci di fibre vegetali sin dal Paleolitico superiore, mentre il primo telaio appare tra i geroglifici egizi nel periodo Predinastico. L’archeologia tessile è appunto quella scienza che si occupa di studiare esclusivamente reperti a base di fibre. Lo fa perché i tessuti sono molto più che semplici materie prime, base elementare per arti più complesse come il taglio e il cucito. I tessuti, e la Finaurini ce lo ricorda riportando le parole dell’archeologa Francesca Coletti, “veicolano tutte le caratteristiche identitarie della persona, ne rivelano il ruolo e lo status sociale, la religione e tante altre cose. Sono la cosa più vicina all’uomo, stanno a contatto con la sua pelle e ci dicono molto sulla vita e le abitudini.”

I tessuti hanno dunque la capacità di raccontare. Del resto, non a caso il mondo delle storie e quello delle stoffe condividono nelle loro famiglie lessicali diversi lemmi: le parole “intreccio” e “trama”, ma addirittura la stessa parola “testo” deriva dal latino textus, participio passato di texĕre che vuol dire “essere, intrecciare”. “Studiare i tessuti per ricucire la Storia” non è allora solo un’espressione coniata ad arte, ma è forse la vera ambizione di questo libro, che è molto più di un catalogo di fili e stoffe, soprattutto se si prova a leggerlo con una prospettiva diversa.

La grammatica dei tessuti ci racconta prima di tutto una storia fatta a telaio e lo fa a partire dal mito, quello di Aracne, l’abile tessitrice che osò sfidare Atena e per questo fu tramutata in un ragno. Ci ricorda la vicenda di Penelope che tenta di mantenere il controllo sulla sua vita e il suo destino tessendo e sfilando la stessa tela. Ci invita a non dimenticare mai che la metafora stessa della nostra vita è principalmente quella di un filo che da un momento all’altro le implacabili Parche possono spezzare.

Queste pagine, così ricche di riferimenti storici e letterari e di bellissime immagini, conducono alla scoperta di un mondo di fibre naturali, artificiali e sintetiche delle quali ci vengono indicate caratteristiche, proprietà, metodi di lavorazione e vicende storiche. Solo dopo si giunge ai tessuti ossia ai complessi intrecci di quelle stesse fibre.

“Conoscere i nomi dei tessuti è il punto di partenza per comprendere il valore, l’impegno e la dedizione che si celano in ciò che spesso distrattamente indossiamo ogni giorno.” In un mondo ormai dominato dal Poliestere, imparare a riconoscere di cosa sono i fatti i nostri vestiti, vuol dire tentare di riallacciare una storia, chiedere di esserne parte, di raccontarla a proprio modo. Vuol dire superare la superficie opaca della moda e recuperarne l’aspetto legato all’ingegno umano, all’artigianato e al design che c’è dietro un capo, un qualunque capo. Perché ogni oggetto, e dunque anche un oggetto tessile, è sempre e comunque parte di una cultura materiale che bisogna saper osservare, interrogare, chiamare per nome.

E a proposito del valore culturale e simbolico dei tessuti, mi viene in mente una gonna di tulle bianco, battuta all’asta per 52.000 dollari come uno dei capi più iconici degli ultimi anni. È la gonna con cui nel 1998 Carrie Bradshaw si aggirava per Manhattan nella sigla di apertura della famosissima serie americana Sex and the City. Pare che quella gonna sia stata trovata dalla costumista Patricia Field frugando in un cestino con capi in svendita a cinque dollari, ma la significatività di questo capo è proprio nella stoffa con cui è cucita. Il tulle è il tessuto degli abiti da sposa, dei tutù e dei costumi di carnevale delle bambine che per un giorno vogliono diventare fatine o principesse. Ecco dunque che Carrie, allora, tra le strade di Manhattan, con la sua gonna corta fatta di balze in tulle bianco, eredita un immaginario, una serie di significati e simboli e diventa una principessa contemporanea che cerca, in un modo tutto suo, un principe azzurro e molto più di questo.

La grammatica dei tessuti ci invita allora a procedere a ritroso, all’origine delle trame dei nostri capi e delle nostre storie per poterne poi inventare motivi e geometrie nuovi. Nostri. Soltanto nostri. Perché “l’arte della tessitura somiglia un po’ alla letteratura. Una grammatica tattile costituita da vocaboli che non hanno un verbo, ma un corpo e una forma. Come le parole, i fili occupano un proprio spazio e, quando si slegano dalla matassa, finendo in quel labirinto di intrecci verticali e orizzontali, di incastri saldi e immobili, il nostro sguardo sa che non potrebbero mai abitare un posto diverso”.

Loredana La Fortuna