La copertina di una delle opere più belle di Daniele Del Giudice 🔗Staccando l’ombra da terra, con cui vinse nel 1995 il 🔗Premio Bagutta e il 🔗Premio Flaiano per la narrativa – pubblicato per Einaudi – rappresenta un aereo sullo sfondo di un cielo cangiante e un uomo, che corre, sulla terra ferma. Sembra una sintesi perfetta non soltanto di quello che quel romanzo racconta, ma dell’intera filosofia narrativa di uno degli scrittori più influenti della nostra epoca, benedetto da Italo Calvino, visionario e profondo.
Il tema del volo unisce le storie del protagonista, fino ad arrivare al mistero di Ustica, da cui Marco Paolini ha tratto il suo omonimo spettacolo teatrale, riprendendo il tema nei testi di “I- Tigi Canto per Ustica”, scritti assieme all’autore.
Dopo una lunga carriera di successi, iniziati col suo esordio Lo stadio di Wimbledon (1983), poi Atlante occidentale (1985), Nel museo di Reims (1988), Staccando l’ombra da terra (1994), Mania (1997), I-Tigi. Canto per Ustica (2001 e 2009, con Marco Paolini), Orizzonte mobile (2009), In questa luce (2013) e I racconti (2016), nel 2021 viene assegnato a Del Giudice il Premio Campiello alla carriera.
La consegna è prevista durante la cerimonia finale del 4 settembre, ma lui muore due giorni prima, dopo una lunga malattia e l’allora sindaco della città di Venezia, Massimo Cacciari, tratteggia un ritratto dell’autore non solo da intellettuale, ma da grande amico e custode dalla città di Venezia, dove Del Giudice aveva diretto e fondato nel 1999 “Fondamenta”. Negli anni la rassegna aveva portato nella città lagunare personalità del calibro di Giorgio Agamben, Laurie Anderson, Alberto Arbasino, Marc Augé, Zygmunt Bauman, Patrizia Cavalli, Anita Desai, Paul Ginsborg, Serge Latouche, Claudio Magris, Predrag Matvejevic, Ian McEwan, Joyce Carol Oates, Giovanni Raboni, Lou Reed, Jeremy Rifkin, José Saramago, Salvatore Settis, Andrea Zanzotto.
Perché Del Giudice è stato un autore capace di grandi spinte intellettuali e coinvolgenti e le sue opere avevano un carattere di elevazione che ci riconduce alla copertina del suo Staccando l’ombra da terra. Il 2 settembre 2021, quando muore a settantadue anni, molti coccodrilli sui giornali lo hanno ricordato come “lo scrittore pilota” e Roberto Ferrucci pochi mesi fa è uscito con un libro 🔗Il mondo che ha fatto, dedicato a Daniele Del Giudice – edito da “La Nave di Teseo”- in cui consegna un ritratto dell’amico scrittore e del suo modo di guardare il mondo, dove l’esperienza del volo è più volte “spiegata”, analizzata, ammirata.
Perché Del Giudice ha visto e disegnato nuovi orizzonti della letteratura italiana. Il romanzo vincitore del Bagutta e Flaiano, nasce da una connotazione personale: l’autore infatti nel 1987 prende i suoi brevetti aeronautici e dirà che pilotare un aereo è un’esperienza governabile e controllabile, a differenza della vita.
“Se fai le cose che devi fare esattamente, l’aereo è lì per volare. In aereo sai cosa devi muovere, cosa devi guardare, poi parli in cuffia con la base: insomma sai quali sono le manovre – racconta Del Giudice in una sua intervista – Magari fosse così la vita! La vita è molto molto molto più complicata del pilotaggio di un aeroplano. Non ci sono le manovre esatte, le procedure. Si va ad intuito”. Potremmo dire che il romanzo si fonda sulla sensibilità ad accogliere i fenomeni della vita e le relative sfumature: Del Giudice invita ad una risposta affermativa alle imbeccate della vita, per quanto non si possa controllare tutto.
«Al tramonto dopo l’atterraggio, faremo lunghi ed elastici passi per rilassarci dalle fatiche dei comandi. Sorrideremo, di nuovo ricongiunti alla nostra ombra». Del Giudice non identifica volo e fantasia al pari di un’evasione da quello che è il mondo reale come se le nubi fossero una morbida alternativa, ma anzi, predispone una riconciliazione con la realtà, con “l’aderenza al paesaggio”, esterno ed interno.
“L’aereo non è come la nave che trasferisce le leggi morali della terraferma in una giurisdizione autonoma e ristretta, mettendole alla prova in modo estremo, l’aereo non conserva nulla della terra e della casa, in una nave si dorme, si ozia, si trama, c’è il tempo lungo della bonaccia, le attese afose nei porti, in aereo non c’è nulla delle consuetudini quotidiane, le sole regole che valgono sono regole dell’aria, regole operative. Si commettono errori, ma quasi sempre di ordine tecnico, difficilmente di ordine morale”.
Torna la vocazione dell’autore coltivata sin da bambino di intendere la realtà intima come qualcosa di immenso (il paragone col cielo dice tutto) e quel mondo parallelo di cui aveva raccontato in prima persona: “Quando avevo undici anni, mi sono fatto un mio mondo, che non immaginavo certo di usare come lavoro. Era un mondo parallelo, di immagini e di racconti. Prima di morire, mio padre mi fece due regali: uno era una macchina da scrivere, una enorme Underwood americana con la tastiera italiana; l’altro era una Bianchi 28, una bicicletta. Invece di andare a scuola, andavo con la bicicletta sulla statale Appia, e giravo i colli attorno a Roma”. Per i grandi scrittori e per le grandi scrittrici la letteratura racchiude un lato di non detto e non dicibile che diventa pista dell’immaginario. E Del Giudice in Staccando l’ombra da terra – ma non solo – suggerisce una corretta prospettiva del vivere che non può essere verticale o orizzontale, ma obliqua.
Antonella De Biasi
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