È oggi difficile mantenere un temperamento lirico per la mole enorme della datità che ci assilla in ogni canale, ad ogni momento. Il tentativo di ricondurre ad unità la materia che prende spunto dal mito qui ospita come un barlume l’intrigo del reale, facendo capolino con espedienti misurati e accorti. La trasposizione identitaria che vede Ade e Persefone protagonisti non è tuttavia di immediato riscontro. È necessario a mio avviso ripercorrere con occhio vigile il testo – sebbene esile sia – per fissare l’unità mito-poietica cercata da Marilena Renda.
“la notte, all’inferno, sognava di dirne quattro alla madre
poi lo immaginava anche da sveglia, ma funzionava meno
a volte in sogno la voce andava via, o piangeva
perché Ade non c’era, ed erano tutti morti
prima di arrivare lì, il tempo non era il tempo
e pure l’amore, il mare, il cibo, le armi da taglio
niente era mai più solo se stesso, dopo che lui
aveva inventato quella terra per lei” (pp.30)
La chiave di lettura per una possibile “missione” della poesia offre solidità allo spunto della visione dell’inferno in terra, del percorso degli umani, dal quale sembra trasparire ciò che pure altrove viene implicitamente suggerito: l’esistenza di una dittatura del presente nel senso comune. Tanto fuggevole è la meraviglia, quanto umilmente riposte – sembra volerci indicare l’autrice – le armi del pensiero, della riflessione, della consapevolezza.
“Persiste l’idea che il poeta sappia molte cose
sembrerebbe
che la nostalgia sia il dono degli immobili
dalla finestra la fanciulla
vede la finestra rotta
di un appartamento vuoto
una casa è
un’immagine di casa
se potesse
si allargherebbe fino a lì
per guardare il vuoto
rimasto dove era lei” (pp.21)
Persefone diventa complice, compagna smagata e tramite, non solo per il passaggio delle anime, ma di una visione. In questa visione il mondo degli inferi tanto somiglia alla terra, al punto di afferrare un quotidiano inferno plausibilmente confuso all’allegoria, al punto di scorrere come sangue nel regno invisibile.
“Non va neanche detto, il buio quanto è potente
nemmeno si guardano, uno non sa il nome dell’altro
nell’amore Il buio è più potente di ogni altra cosa
detta le parole, dice: già te ne vuoi andare
non ho neanche cominciato ad appassire” (pp. 24)
Probabilmente ciò che più afferra il lettore e convince del libro è proprio questa visione. Cinema Persefone è un’allegoria in grado di rinfacciare brutalmente al mondo la contiguità alla misoginia, al disvalore collettivo, al regno del male che viviamo spesso da ciechi. Dall’invisibile al visibile la proiezione della Renda è coerente, malgrado la complessità degli eventi che voglia abbracciare ed il flusso talvolta caotico del dettato poetico.
Marco Melillo
E tu cosa ne pensi?