Per quanto Amalia Guglielminetti si presentasse in pubblico e si autorappresentasse in poesia come «quella che va sola» – nella sua raccolta Le seduzioni questa dicitura è declinata in decine di versi – l’autrice non si sottrasse alle attenzioni dei maggiori critici di inizio Novecento che le riservarono sia plausi che botte, per riprendere il titolo della leggendaria rubrica di Giovanni Boine, forse il più duro dei suoi detrattori. L’elenco alfabetico è altisonante, a partire da Giuseppe Antonio Borgese («un’artista di tale strepitosa forza che bisogna lasciarla sola») e poi Cardarelli, Cecchi, Gobetti, Gramsci, Serra e Tozzi. Né Guglielminetti si risparmiò nell’intrecciare una fitta tela di relazioni: col suo mito personale ossia D’Annunzio («è l’unica poetessa d’Italia»), con gli scrittori all’avanguardia come Marinetti e Palazzeschi oppure à la page come Bontempelli.
E per quanto l’ammirazione, il pregiudizio e lei stessa abbiano tramandato l’immagine di una scrittrice asociale, armata contro il mondo e soprattutto contro le donne, Guglielminetti strinse amicizie solidali con molte colleghe, da Carola Prosperi ad Ada Negri, e pure l’etichetta di nemica giurata di Sibilla Aleramo le venne appiccicata in malo modo (negli anni Settanta bisognava scegliere da che parte stare e il femminismo scelse l’autrice di Una donna e giudicò sommariamente l’autrice della Rivincita del maschio).
Soffermiamoci sul rapporto di Amalia Guglielminetti con Ada Negri, sua amica e interprete della sua poesia, per restituirne un ritratto più veritiero.
Negri, più grande di Guglielminetti di undici anni e di origini decisamente più umili, dopo Fatalità pubblicò Tempeste nello stesso 1896 in cui si sposò. Il matrimonio con un ricco industriale tessile biellese le portò anni d’infelicità irrisolvibile oltre all’amata figlia che nacque nel 1898 e ispirò Maternità del 1904, in cui si ripiegò nell’introspezione dopo l’interesse mostrato per le questioni sociali. Una parabola biografica (a parte l’essere presto rimasta orfana di padre) e poetica molto diversa da quella di Amalia, donna snob, mai moglie né madre, penna passionale e seducente, ciò nonostante le due si compresero: «Ada, quel male che ti fece male / quell’aspro ardor che mi temprò in acciaio / il verso e l’aguzzò come un pugnale, / s’acqueta, o vela d’un sorriso il guaio», si legge nel componimento Per Ada Negri, «Forse, sorella al tuo spirito quale / già mi sentisti, ora non più t’appaio, / se bene il verso mi riluca eguale / come fosco a quel tempo, or quasi gaio. // Ada, io non piango più».
Il commiato delle Seduzioni non è soltanto uno scatto d’orgoglio e una semplice dedica ma un discorso simpatetico fra l’autrice e la dedicataria, due donne coraggiose. Un discorso cominciato già ai tempi delle Vergini folli. Esiste una fotografia sorridente di Ada con dedica manoscritta ad Amalia, datata maggio 1907 e preceduta da uno dei più noti versi di Gaspara Stampa: «Vivere ardendo e non sentire male / Alla mia appassionata sorella». Negri addirittura «credeva a un caso di metempsicosi» da Gaspara Stampa, lo riferì Guglielminetti a Gozzano nella lettera del 7 giugno 1907 in cui, in realtà, smentiva la parentela con la poetessa cinquecentesca ma soprattutto garantiva: «Il lettore ideale è quello che sente, che quasi s’impossessa dell’anima di chi scrive, e Voi siete di questi […] come lo fu privatamente Ada Negri, la quale mi scrive lettere che mi fanno male, invidiandomi la mia bella libertà di canto, ella ch’è ormai schiava di quel po’ di fortuna trovata nella vita».
Lo scambio di amorosi versi, sororali sensi e grande solidarietà fu anche pubblico. Guglielminetti firmò un «delirare inutile di spiaggia in una epistola ad Ada Negri», intitolato Dal mare, sul numero del 5 agosto 1907 della «Donna», la rivista su cui la metempsicosi divenne manifesta quando Ada Negri a sua volta firmò, sul numero del 20 dicembre, il sonetto Davanti a un ritratto «per Amalia Guglielminetti» che coincide, stando alle tessere utilizzate con un ritratto di Amalia Guglielminetti: «occhi di idolo egizio», «fronte d’enigma», «crine tenebroso», «bocca che a un’orchidea mi fa pensare» e poi «lame di pugnale»… E sembra proprio Amalia la figura di Quella che passa nella raccolta Dal profondo e che Ada incontra così: «inguainata nella nera tunica, / avvolto il collo nel tuo boa di martora, /che, pari a un serpe flessibile e contrattile, / t’accarezza, ti bacia e t’assomiglia!», una donna non vecchia, non giovane, «in piena voluttà d’impero / sulla vita e sull’uomo».
Alessandro Ferraro
E tu cosa ne pensi?