Cecilia Ricciarelli, italiana nel cuore, romana per caso, parigina di formazione. È stata anche tante altre cose: di sé dice che tiene le radici in un barattolo. Da 7 anni è la fiera proprietaria e animatrice de Le Nuvole, libreria italiana nel distretto di Gràcia a Barcellona.
Più che un mestiere quella del libraio indipendente è una missione. È così anche in Spagna?
Assolutamente sì, hai ragione: è una missione. Il mestiere del libraio si nutre della passione per la letteratura, del piacere della condivisione e di uno struggente senso di rifiuto nell’accettare come normale che si legga meno e che la letteratura occupi un posto sempre meno importante nella formazione dell’individuo. Nello stesso tempo bisogna fare i conti con la quotidiana contraddizione tra l’essere dei sognatori e la necessità di far quadrare i conti in cassa. E devo ammettere che questo toglie un po’ di poesia.
Ho aperto la libreria perché in questa bella città vivono circa 40.000 italiani, una popolazione grande quanto quella di Merano o Jesi, e non c’era neanche una libreria. A conti fatti non sarebbe dovuta essere una scommessa tanto azzardata, no? La pratica ha dimostrato che la teoria è una cosa e la realtà tutt’altra.
Comunque, non ci diamo per vinte e continuiamo il cammino con entusiasmo.
Cosa cercano i frequentatori della tua libreria?
Gli italiani vengono a sbirciare cosa offre di nuovo il panorama letterario italiano o a cercare qualche classico che è giunta l’ora di leggere. La distanza, non solo geografica, fa apprezzare cose che avendole sempre a portata di mano sembrano perdere il loro giusto valore. I locali si affacciano con curiosità alla nostra cultura, sicuri del fatto che qui da noi troveranno me o le mie collaboratrici disposte a “perdere tempo” per consigliare, raccontare trame, valutare le difficoltà lessicali di quasi ogni romanzo che esponiamo. Altri ancora vengono a vedere questa originale libreria di cui in città si parla e alla fine escono con un libro in mano.
Dal punto di vista “straniero” che segnali percepisci dalla narrativa italiana contemporanea?
I segnali sono buoni, mi pare che rispecchi le capacità, l’inventiva, la profondità di analisi della e sulla nostra società, fa da specchio all’attualità culturale e politica ma ha il vantaggio che, essendo filtrata dall’arte, diventa un “prodotto” esportabile senza troppo imbarazzo… non si può certo dire la stessa cosa della politica.
Cosa manca agli autori italiani per essere più internazionali?
In realtà non credo che agli autori italiani manchi qualcosa per essere più internazionali. Chi si immerge nelle pagine di un romanzo italiano è perché vuole riconoscere i particolari codici della propria cultura o, se straniero, essere accompagnato da un buon Virgilio nei meandri della nostra mentalità.
Insomma, mi pare che il “caso Ferrante” sia un buon esempio. Una saga così legata all’Italia in generale e a Napoli in particolare ha varcato i confini nazionali ed è diventata un qualcosa di più di un buon romanzo sull’Italia.
Descrivere ciò che più si conosce e che ci è più vicino è un buon modo per risultare autentici ed è questa autenticità che permette di varcare i confini nazionali.
Ti senti un po’ ambasciatrice della cultura italiana?
Assolutamente sì. Mi sento un’ambasciatrice à la carte: per ognuno ho da offrire tempo per ascoltare i desideri e i gusti e alla fine poter proporre di “assaggiare” un autore o un romanzo che più si avvicinano alle aspettative o le curiosità del lettore. Un lusso per me e per loro che forse un diplomatico vero non si può permettere.
E le istituzioni italiane che dicono de Le Nuvole?
Tocchi un tema delicato. Come spesso accade le istituzioni sono fatte di persone con il proprio carattere, gusto e simpatia. I rapporti dipendono, come nelle relazioni amorose, dalla chimica che si instaura tra individui.
Ecco, forse questo è sbagliato. Mi piacerebbe che fosse riconosciuto che poter godere della presenza di una libreria italiana all’estero è oggettivamente un privilegio per i connazionali che vivono in quella città. Mi piacerebbe ci si renda conto che una libreria è una finestra aperta a ciò che c’è di più bello ed esportabile del made in italy: la cultura. Che un libraio è un vero operatore culturale e non un semplice venditore di libri.
Forse così potremmo godere di un riconoscimento che, magari non ci permette di sbarcare il lunario, ma ci aiuterebbe a tener duro e a sentirci meno isolati. E penso di poter parlare a nome di tutte le poche librerie italiane all’estero che, come me, continuano a fare la resistenza.
La tua libreria ci piace molto. Cosa possiamo fare dall’Italia per dare una mano?
Forse parlando di noi e delle nostre difficoltà, perché se è vero che aprire una libreria indipendente in Italia rasenta l’incoscienza, aprire una libreria italiana all’estero dimostra un notevole tasso di follia. Autori ed editori potrebbero considerarci ed inserirci nei loro tour promozionali facendo arrivare gli autori anche da noi, le case editrici potrebbero pensare delle condizioni migliori (tenendo conto, per esempio, che noi paghiamo due volte l’iva), potrebbero spingere per coinvolgere gli istituti di cultura affinché ci sia una collaborazione, senza gelosie o risentimenti. Insomma, c’è ancora tanta strada da percorrere ed io conto di avere la forza per continuare il cammino.
Intervista di Livio Milanesio
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